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Il Nepal è uno stato asiatico il cui territorio, grande come la metà di quello italiano, è quasi esclusivamente coperto da montagne che mostrano paesaggi mozzafiato.
Tuttavia è anche una delle nazioni più povere del mondo con il 42% della popolazione sotto la soglia di povertà e un indice di sviluppo umano che lo vede collocato tra gli ultimi tre paesi asiatici.
Il Dolpo è una provincia del Nepal di 30 mila abitanti, la più grande, la più affascinante, ma anche la più povera e la più abbandonata. Non vi sono strade carrozzabili e gli unici mezzi di trasporto sono le proprie gambe che devono percorrere viaggi lunghi settimane per spostarsi da villaggio a villaggio o raggiungere i centri urbani.

Nasce così l’idea di costruire un ospedale. Se l’alimentazione non è il primo dei problemi, la vera emergenza è costituita dalla carenza sanitaria che colpisce soprattutto donne e bambini. In tutta la regione, infatti, vi è un solo ospedale mal equipaggiato e troppo distante dai villaggi. Di conseguenza il 90% dei parti avviene in casa e la percentuale di madri che muoiono mettendo alla luce il proprio figlio è del 3%, mentre la mortalità infantile raggiunge il 50% nel primo anno di vita. Manca inoltre agli abitanti la consapevolezza delle potenzialità mediche, per via della scarsa istruzione e dell’isolamento della regione.

Alla luce di tali emergenze, è stato avviato nel 2007 il progetto “Family Health Care Hospital” (Ospedale con assistenza familiare) che si è concretizzato nel 2010 con l’inaugurazione di un ospedale avanzato nei servizi e che ha preso il nome di “Kalika Community Hospital”. Anche in questo progetto si è seguita la filosofia del coinvolgimento locale: si è stipulato un accordo con Focus, una ONG nepalese, che si è assunta la responsabilità di seguire la costruzione e il successivo funzionamento dell’ospedale.
Questo progetto usufruisce delle risorse locali permettendo l’impiego di un maggior numero di abitanti del luogo e creando inoltre una cooperazione fra le autorità locali e governative in modo da renderlo più efficace e sostenibile. Attualmente vi lavorano a tempo pieno un medico, un tecnico di laboratorio, due infermiere e un inserviente, tutti rigorosamente nepalesi.

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